Biografia

Antonio Cocchi nasce e vive a Firenze, dove i suoi antenati nell’800 erano impegnati nella lavorazione industriale ed artistica del marmo. Cresce in una famiglia che sembra già pronta ad incoraggiarne l’inclinazione artistica. In entrambi i rami familiari, infatti, sono presenti architetti, scultori, pittori, maestri scalpellini e stuccatori. In famiglia, toscana per il ramo paterno e siciliana per quello materno, si narravano le vicende, le committenze e le realizzazioni artistiche di antenati che tra ‘800 e ‘900, con l’ideazione del “Barocco dei poveri”, con il Liberty Siciliano e il Neoclassicismo, influenzarono lo stile architettonico ed artistico della provincia ragusana, o contribuirono ad arricchire, con sculture ed affreschi, collezioni private e tabernacoli del capoluogo toscano.

Romano Lucacchini, scultore e amico d’infanzia del padre, lo sostiene quando decide di iscriversi al Liceo Artistico. Qui ha tra i suoi insegnanti Nazareno Malinconi che lo seguirà per l’intero corso di studi e che attraverso un approccio interdisciplinare ne formerà la sensibilità, il gusto pittorico e lo avvicinerà alle avanguardie di fine ‘800 e del primo ‘900.

Nel 2010 organizza la sua prima personale intitolata “IN ITINERE 1990-2010”, una retrospettiva che abbraccia 20 anni di produzione artistica e introdotta dall’amico poeta Marcello Fallaci. Nel 2011 partecipa con “Pinocchio e il caldano” alla mostra itinerante di IdeArte dedicata ai 130 anni di Pinocchio. Qui riceve l’invito ad esporre al PisArt Expo nella Stazione Leopolda di Pisa, alla quale interviene con i due ritratti dei genitori e il Tadzio. Sempre nel 2011 e l’anno seguente prende parte alla prima e seconda edizione di Artistrada, dove riceve l’apprezzamento per l’opera “NOVOVO” dall’allora Soprintendente ai Beni Artistici e Storici di Firenze Cristina Acidini.

Nel corso degli anni partecipa a molte collettive di rilievo regionale e nazionale, come “Arte per la Ricerca” organizzata da Fiorgen in collaborazione con la Galleria degli Uffizi (Direttore Antonio Natali) e la Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico per il Polo museale della città di Firenze (Soprintendente Cristina Acidini), allestita nella sala delle Reali Poste degli Uffizi nel 2012 e dove, selezionato da un comitato artistico appositamente istituito, espone accanto a nomi prestigiosi come quelli di Mitoraj, Possenti, Staccioli, Ghelli, Campeggi e Alinari, presentando l’opera “Il sorriso di Tadzio”, acquistata poi in corso d’asta.

Nel corso della sua attività incontra molti artisti. Frequenta associazioni culturali e collettivi. Tiene corsi di storia dell’arte, di comunicazione visiva e di tecnica grafica e pittorica. Si dedica a collaborazioni orientate allo studio e alla sperimentazione con altri pittori sugli stessi soggetti, e da queste collaborazioni nascono progetti espositivi collettivi che lui stesso studia e cura sotto ogni aspetto.

Antonio Cocchi è un’artista versatile; si presenta ogni volta rinnovato e mai ripetitivo, proprio come gli richiede la sua formazione, quella della scuola fiorentina, delle botteghe rinascimentali dove l’arte era considerata una scienza. Questa sua educazione lo porta a spaziare dalla pittura alla scultura, passando per l’incisione, la microscultura e l’oreficeria, arrivando al design e alla computergrafica. Ama la figura umana, il nudo, il ritratto come mezzo di analisi psicologica del soggetto. Si dedica anche a generi diversi come i paesaggi, legati alla tradizione toscana della macchia, ma che si legano altrettanto indissolubilmente all’impressionismo americano. Realizza nature morte partendo da soggetti scelti secondo un principio minimalista; soggetti che possono essere perfino imballaggi e bottiglie di plastica accartocciate, ovvero comuni scarti del quotidiano. Tratta inoltre temi letterari di autori a cui è molto legato, come Sciascia, Stendhal, Shakespeare, Tolstoj e Thomas Mann al quale riserva un intero ciclo ancora aperto e dedicato alla figura di Tadzio in “La morte a Venezia”.

La sua pittura, dal punto di vista tecnico, esecutivo e concettuale, è espressione di un pensiero che nasce da una formazione multidisciplinare e dallo studio delle correnti del post-Realismo e delle Avanguardie. Il suo è quindi un approccio transdisciplinare, come lo sono i concetti che utilizza e che riesce a far dialogare fra loro con estrema naturalezza e spontaneità, così come dal punto di vista tecnico egli si avvale, in corso di esecuzione, strato dopo strato, di linguaggi pittorici diversi: macchia toscana, impressionismo americano, realismo e talvolta perfino iperrealismo; tecnica di stratificazione che grazie alle semitrasparenze dei colori ad olio dona ai dipinti una plasticità tridimensionale e cromatica articolata, originale e contemporanea.

 

Opere

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Iperrealismo

Dall'iperrealismo al pre-iperrealismo
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Letteratura

Dalla letteratura alla pittura
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Divertissement

Tra gioco e sperimentazione
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Ritratti

Il ritratto come mezzo di analisi psicologica
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Macchia

Dalla macchia toscana all'impressionismo americano
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Giapponismo

Lo stile che influenzò l'occidente a fine 800
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Acquerelli

Origine del percorso artistico
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disegni

Disegni, studi e schizzi
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Design

Dal design alla scultura passando per l'oreficeria
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Mostre

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PROSSIME

In programmazione
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2015

Collettive
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2013/2014

Collettive
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2012

Collettive
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2011

Collettive
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2010

Personali e collettive
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Pubblicazioni

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Personali

Cataloghi personali
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Collettive

Cataloghi collettivi
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Formazione

Manuali di formazione
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Dicono di me

Fabio Norcini
AMICI (NUOVI) IN VISITA - Antonio Cocchi

Lo scorso aprile vengo taggato su fb in una foto che mi ritrae in un disegno schizzato con mano abile e di ottima fattura. Ne è autore Antonio, appunto, che mi pare di aver sentito nominare e forse incontrato di sfuggita allo Studio Rosai. Intanto l'abbozzo si fa più elaborato fino a divenire da lì a poco un olio su tavola.

Dopo esserci scambiati vari messaggi ci sentiamo per telefono e mi dice che alla prima occasione sarebbe venuto a portarmelo personalmente. E l'occasione si è verificata qualche settimana fa ed è stato davvero un incontro eccezionale: abbiamo appurato che non ci eravamo mai visti prima, ma tali e tanti sono i punti in comune che ci pareva di conoscerci da una vita, magari precedente... Tra le esperienze comuni più significative, quella della diuturna assistenza alla genitrice, lo sviscerato amore dell'arte a proprio rischio e pericolo, pagando sempre di persona, un campionario di lavori tra i più diversi (professione? troppe...), il gusto di cucinare nel solco della tradizione toscana e tante altre. Un terreno comune che ci permette di saltare di palo in frasca sui più vari argomenti, trovandoci in sintonia. Forse il Cocchi-Coccejus mi sopravvaluta quanto io lui, ma penso sia una sorta di compensazione che ci concediamo per quanto entrambi ci siamo personalmente sempre sottovalutati sul nostro conto.

Io mi auguro, anche un po' egoisticamente vista la mia cartella clinica, che questa sia la prima tappa di una lunga amicizia e che si possa ritrovare presto a incontrarci con lo stesso costruttivo entusiasmo della "primavoltità", come avrebbe detto Bobi Bazlen.

 

Adriano Buldrini
Ossimoro vivente

Da molti anni conosco Antonio, forse venticinque o forse qualcosa di più. Gli anni passano e il conto si perde, ma non si perde la profonda amicizia e stima che mi lega a lui.

Non posso dire di essere stato il suo Maestro, perché non ho mai insegnato a lui le tecniche pittoriche o quant’altro; però posso affermare che in Antonio, vivendo a stretto contatto con la mia pittura e la mia esperienza artistica, “un qualcosa” si è naturalmente riflesso - con mio personale orgoglio - nel suo modo di fare arte… non per questo contaminando la sua originalità.

Antonio è sicuramente una delle persone più atipiche che io conosca. E di persone strane ne conosco tante… giuro.

È il più anticonformista dei conformisti, il più conservatore dei progressisti e il più tradizionalista degli avanguardisti. È un ossimoro vivente, ma nonostante ciò è un palindromo nella sua lettura interiore, sempre incredibilmente coerente con ciò che pensa e vive. Chi lo frequenta impara a riconoscere un filo che lega il suo modo di pensare. Un filo prezioso, d’oro, che unisce tutto. Questo filo nasce sicuramente dal suo passato remoto; un passato fatto di piccole e significative storie familiari, di aneddoti e parole ascoltate intorno al focolare domestico, le quali si intrecciano come canestri ai grandi eventi storici da lui studiati e ristudiati.

Per capire l’artista Coccejus bisogna aver chiara l’importanza che per lui ha il concetto di “tempo” che fa da diario a tutta l’indagine psico-emozionale che riempie la sua poetica. Come bisogna aver chiaro l’importanza che per lui ha il concetto di “luogo”. Luogo come culla della sua fiorentinità e sicilianità. Luogo riguardo al quale egli sottolinea il senso di appartenenza e l’orgoglio d’appartenervi tramite la sua pennellata descrittiva, minuziosa, che ne valorizza ogni particolare. I particolari per Antonio non possono assolutamente essere trascurati né dimenticati, tantomeno passare inosservati.

L’insieme di piccoli dettagli crea un luogo, così come l’insieme dei brevi secondi crea il tempo e la storia. Tralasciarli sarebbe come indurci alla dimenticanza, ma per evitare ciò l’artista ci chiede di attardarci, di darci cioè quel tempo necessario per accorgerci che ciò che abbiamo intorno, ciò che ci proviene dai nostri avi, dai nostri eroi e dai nostri miti è meraviglioso e non può essere cancellato.

Il tempo è per Antonio l’artefice della costruzione dello spazio e nella sua stratificazione crea valore. Così Antonio si sofferma sul tempo che passa. Il tempo che imprime nella materia il suo segno. Questo segno lo troviamo anche nei suoi ritratti. Figure fanciulle e figure vecchie; figure belle o di bellezze ormai sfiorite le quali sono lì a ricordarci con le loro rughe e le loro pelli levigate, che la vita è un irrefrenabile divenire e un susseguirsi d’interessantissime storie espresse in un limitato arco spazio-temporale.

Detto ciò l’artista Coccejus, o la persona Antonio nel suo quotidiano, si mostra come un ponte vivente tra il passato e il futuro. Un ponte umanamente generoso e artisticamente ricco di colori, attraversando il quale restiamo impregnati da una sottile malinconia e da una rassicurante speranza.

 

Donatella Donati
Un ragazzo antico

Era mio alunno alle medie Antonio Cocchi, sedeva accanto alla finestra, era gentile, silenzioso, assorto. Il terzo anno fece molte assenze, e mi turbava il suo banco vuoto, sotto cui non lasciava né un libro né un foglio né un quaderno, come per dire: “Non so se tornerò.”
Anche quand’era in classe, sebbene attento alle lezioni, sembrava però spesso un poco estraneo, come se fosse lì ma pure altrove. Agli scherzi pesanti e alle battute salaci tra ragazzi e ragazze non partecipava, anzi forse neppure li coglieva, come un bambino in mezzo a adolescenti; e tuttavia sembrava anche più vecchio, più maturo, più antico certamente, più in sintonia con gli adulti, gli insegnanti, che coi suoi compagni. Con due delle ragazze, sue vicine di casa, aveva un’amicizia da fratello.

Amava disegnare, e disegnava a volte anche durante le ore di lettere, quando c’ero io, mentre gli altri leggevano o scrivevano. Agli Uffizi era rimasto affascinato da Caravaggio, dalla testa di Medusa; gli chiesi di scriverne un commento, ma lui voleva aggiungerci un disegno, e a lungo tentò di riprodurla, prima a matita, poi con i colori. Finì la scuola, e la Medusa non la consegnò.

Di sé parlava poco, io non sapevo che avesse già letto la Bibbia per intero, che dalla madre avesse appreso un po’ di pianoforte, che conoscesse, cosa a quei tempi assai poco diffusa, l’uso del computer. Due o tre ragazzi in classe parlavano delle loro esperienze col computer o con uno strumento musicale con entusiasmo, ma lui zitto! Non si vantava mai di nulla, era discreto, serio, tenace fino all’ostinazione, e rispettoso dell’autorità con un candore quasi comico. In gita a San Gimignano, non ricordo in che palazzo, si avvicinò a me e alla collega d’inglese come per domandarci spiegazioni, ma in realtà facendoci osservare particolari degli affreschi che nessuna di noi aveva notato.

Finite poi le scuole, per molti anni mi ha mandato, di tanto in tanto, una cartolina o un biglietto talvolta disegnato da lui stesso, poi ha cominciato a telefonarmi, e a me pareva strano che mi cercasse con tanta costanza, visto che scambiavamo solo poche parole, gli auguri di Natale, qualche rapida notizia e niente altro. Non aveva bisogno di parlarmi di sé, ho pensato allora, voleva solo accertarsi che io stessi bene, e farmi sapere che lui c’era. Due anni fa ha iniziato invece a raccontarmi e a chiedermi un parere riguardo al suo lavoro, e dopo un po’ è venuto a trovarmi a Pisa, dove adesso vivo, portandomi in regalo un suo quadro, una Medusa dipinta ad acquarello; così, dopo ventitré anni, ha mantenuto l’impegno che aveva preso con se stesso.

Da allora, giorno per giorno abbiamo costruito un’amicizia, con gioia e con pazienza. Lui è molto paziente, e credo di capire che, per conoscerlo ed apprezzarlo a fondo, anch’io devo essere paziente.

Da allora, giorno per giorno abbiamo costruito un’amicizia, con gioia e con pazienza. Lui è molto paziente, e credo di capire che, per conoscerlo ed apprezzarlo a fondo, anch’io devo essere paziente.

Mi chiede se lo trovo diverso dai tempi della scuola, ma la mia risposta non deve soddisfarlo, perché ogni tanto mi rinnova la domanda. Lui si trova diverso, diversissimo, soprattutto perché in gran parte ha superato l’antica ritrosia per la parola, anzi parlare ora gli piace al punto che certe nostre discussioni sono interminabili. Io riconosco che adesso è più sicuro e certo ha più strumenti culturali, anche perché non ha mai smesso di leggere e studiare a piacer suo al di fuori del Liceo e dell’Università, ma nel complesso a me non sembra poi tanto cambiato, mi sembra ostinato, meticoloso e lento come prima, come prima sprovvisto di malizia quando non ingenuo, più in sintonia con le persone anziane che coi giovani, più interessato ai lati spirituali della vita che a quelli materiali.

Molto legato alla sua larga famiglia, al suo ambiente, alla sua casa, difficilmente riuscirebbe a vivere, così mi ha detto un giorno, lontano dal cielo di Firenze. Poco attratto dai viaggi, insofferente di mondanità, lui è felice nel suo studio, davanti ad una tela, quando, dopo progetti, prove, errori, tentativi, ecco: il pennello comincia a guidare la sua mano, la tela sa cosa deve diventare, il tempo lascia la sua presa, quadro e pittore sono una cosa sola. Così lui mi descrive la pittura, un’esperienza d’amore fusionale.

Molte energie gli assorbe la pittura, ma ha energie anche per le persone. Severo nei giudizi, incline a un moralismo da patriarca, rigido e duro quando parla in generale, poi nei casi concreti è attento a non offendere, rispettoso di ogni sensibilità diversa dalla sua, pronto ad offrire aiuto; ha una capacità straordinaria di incassare con calma le mie critiche più aspre. Dice di non amare la politica, ma si preoccupa del mondo, le ingiustizie lo rivoltano ed ogni sofferenza umana, sotto qualunque cielo, lo addolora. Ha una visione religiosa della vita, e in lui le istanze laiche e le istanze clericali spesso si combattono.

La morte è un suo pensiero quotidiano, e questo, credo, è l’elemento più profondo che ci unisce. Ne è simbolo proprio la Medusa, dove gli occhi, la bocca e la testa mozzata esprimono l’orrore e la consapevolezza di stare per morire. Non so se allora, a quattordici anni, nell’impressione che ne ricevé agli Uffizi prevalesse l’orrore o la consapevolezza, ma certo adesso che lui ha trentotto anni ed io vado incontro alla vecchiaia, la sua capacità di affrontare il pensiero della morte, che nella nostra società è sempre più rimosso, e di parlarne con serenità e fermezza, è un aspetto prezioso della nostra amicizia.

 

Marcello Fallaci
L'amico Antonio

E’ una pretesa, un compito arduo il mio, quello di volere presentare un pittore.
L’amico Antonio mi ha fatto l’onore di mettere il mio nome e cognome sopra il volantino, ma non per questo io sono all’altezza di parlare dell’artista, di presentare le sue opere. Io conosco e apprezzo Antonio Cocchi per la sua sensibilità artistica in generale, verso ogni forma di arte.

Prima di oggi io avevo visto due quadri soltanto dell’artista, mi sembra di ricordare che fossero due ritratti. (Poi finalmente mi sono avvicinato alla sua arte) Nonostante la mia minima cultura pittorica (per non dire che ne sono privo) mi trovo in questo momento proiettato davanti a un pubblico desideroso di avere delucidazioni sui quadri del Cocchi e di ascoltare quanto ha da dire il sottoscritto. A questo punto se io fossi onesto quanto sono consapevole dei miei limiti direi ai presenti: “Scusate signori, guardiamo i quadri e godiamoci la qualità pittorica di ciascuno di essi.” Ma mi sono preso un impegno e lo porterò avanti meglio possibile.

Quando uno sente dentro di sé l’afflato dell’arte che lo sospinge a tradurre in pittura ciò che lo circonda, va avanti a dispetto dei santi, a dispetto di un padre che non capiva il valore del figlio e che si è espresso davanti a persone che avevano mostrato di apprezzare il disegno, la pittura di Antonio con simili espressioni: “Macché, l’è solo un bischero!” Simile atteggiamento del padre si può giustificare dal timore che il figlio perdesse il suo tempo con quelle matite in mano e che dovesse invece applicarsi nello studio e trovare la sua via, magari quella che lo avrebbe portato a trovarsi un buon impiego. Che pretese!! Il Cocchi ancora non aveva cominciato a frequentare le scuole medie.

Ne ha fatta di strada da quel giorno! Ha potuto dimostrare di non essere “bischero”, tutt’altro! Antonio Cocchi è passato da un’esperienza all’altra per potere oggi esporre in questa Sala Espositiva opere d’arte che vanno dagli ACQUERELLI ANNI 90 ai paesaggi a olio anni 2010, passando attraverso il GIAPPONISMO ANNI 90, gli acquerelli e i ritratti a matita.
Io di giapponese ultimamente ho conosciuto gli Haiku, brevi poesie di tre versi che lo stesso Cocchi conosceva, e non solo, l’amico Antonio sa scrivere gli Haiku con gli ideogrammi cinesi con relativa pronuncia e traduzione italiana. Farebbero bella mostra di sé incorniciati e messi accanto ai quadri esposti.

Ma di Antonio Cocchi tutto fa bella mostra di sé: lui il personaggio, lui l’artista, lui il pittore che ha saputo dipingere quadri che io solo di recente ho potuto ammirare quando sono stato pochi giorni fa nel suo studio. E i quadri che mi hanno lasciato senza respiro, che mi hanno tolto di bocca qualunque parola perché li ho trovati al di là di ogni giudizio sono stati proprio i quadri del periodo del GIAPPONISMO. Quel volto di madre con la sua piccola creatura mi è apparsa eterea, un’immagine che non aveva tempo, che non apparteneva alla (tela) cotonata su cui era stata dipinta, ma se ne distaccava per esistere come bellezza assoluta, come… non trovo definizione.

Difficile proseguire… ma si può capire che il Cocchi è un artista a 360 gradi e in futuro, in questo suo IN ITINERE, cioè in questo suo percorso iniziato molti anni fa, può raggiungere qualsiasi mèta e il sottoscritto glielo augura di tutto cuore perché non capita tutti i giorni di incontrare un simile artista e farselo amico.
Vorrei continuare questa mia presentazione...

 

Mara Faggioli
Afflato poetico

C’è un fil rouge che lega le opere d’arte di Antonio Cocchi Panebianco e il suo essere artista, li unisce in un abbraccio soave e leggero, limpido come una sorgente d’acqua cristallina ed è la “purezza”. La purezza intesa, però, non soltanto e unicamente nel disegno, nella pittura e nella scultura, che già di per sé rappresentano un elevato livello di maestria, capacità e innato talento, ma anche, e soprattutto, la purezza dell’animo di Antonio che nelle sue opere si riflette come in un nitido specchio.

E poiché non riesco a scindere l’Artista dall’Uomo, ritengo che A.C.P. rappresenti in modo esemplare questa unione, lo stretto legame che unisce il suo essere artista con il suo animo ricco di generosa umanità e solidarietà verso il prossimo, in quella perfetta armonia che dovrebbe esistere, non solo fra gli artisti, ma fra tutti gli uomini della Terra.

E Antonio, che così sapientemente sa trasformare una tela in un’opera d’arte, con la stessa naturalezza sa prendersi cura amorevolmente dei suoi cari con spirito di abnegazione nonché degli amici e del mondo che lo circonda con una profonda sensibilità.

Con la stessa sensibilità dipinge ciò che la natura gli offre ma, soprattutto, ciò che il suo cuore sente e gli suggerisce, riuscendo a trasferire sulla tela le sensazioni ed emozioni più profonde con amabile grazia, rifuggendo così ai facili richiami delle mode ma ascoltando unicamente la voce del cuore per raggiungere un magico afflato poetico.

 

Sono onorata di entrare nella tua preziosa raccolta di ritratti. Questo tuo pensiero mi ha allietato questi dolorosi giorni e mesi che sto vivendo e ti ringrazio infinitamente perchè tu mi hai dedicato più di un ritratto, mi hai dedicato il tuo tempo ed oggi, forse, è uno dei beni più preziosi.

Penso che aggiungere la "parola" ad un dipinto, come hai fatto tu, Antonio, con questa intensa e sensibile descrizione, ne impreziosisca il valore perché oltre ad ammirare l'operato dell'artista se ne può comprendere meglio l'anima e i suoi sentimenti e, dunque, valutare l'artista, non solo come tale, ma anche come Uomo. Credo sia importante non scindere mai le due valutazioni. Caro Antonio, ricordo perfettamente quei lunghi, interminabili mesi, quasi un anno, di dolori atroci e la mia totale immobilità e il tuo gesto che fu, davvero, come una CAREZZA SULL'ANIMA!!! Ricordo, (nonostante la morfina e gli oppiacei) la telefonata di Marisa che mi annunciava una sorpresa per me su facebook ed io che mi trovavo in difficoltà a muovermi anche per arrivare al pc. E, poi, la mia meraviglia, il mio stupore, quasi incredulità e la mia gioia quando vidi questo tuo dono prezioso...perché di un dono prezioso si trattava poiché non mi regalavi soltanto la tua opera ma mi regalavi, soprattutto, il tuo affetto, la tua premura, la tua amicizia, la tua mano tesa verso di me, il tuo desiderio di aiutarmi ad uscire da quella sofferenza. Adesso coloro che guarderanno questo dipinto potranno comprendere meglio la bella persona che sei, la tua sensibilità, generosità e la tua grande, inesauribile umanità! Grazie Antonio, te ne sono grata, non lo dimenticherò!

 

Ugo Barlozzetti
Sensibilità, efficacia e intensità

In ‘Visita inattesa’, l’efficacia ritrattistica si radica in una rara sensibilità cromatica. La luce costruisce e fa indagare nel dialogo tra la forma, la figura e l’intuizione offerta dall’intensità dello sguardo.

 

Eventi in programmazione

"Artisti di Brozzi, allievi e maestri"
In collaborazione con il Quartiere 5 del Comune di Firenze

Questo progetto è nato quasi per caso dalle conversazioni di tre amici pittori, tutti nati e vissuti a Brozzi. Nel raccontarci aneddoti personali e di altri artisti brozzesi, quella che inizialmente doveva essere una mostra senza troppe pretese, ha preso la forma di un’iniziativa più articolata, intimamente legata al territorio, alla sua memoria, al presente e, forse, anche al futuro. Mi sono detto: perché non allargare l’evento anche ad altri pittori e scultori che sono nati e vissuti a Brozzi e perché non includere anche maestri e allievi? E così è stato! Ciascuno di noi ha partecipato e contribuito all’organizzazione di questa impresa mettendo a disposizione le proprie competenze ed esperienze, contattando gli artisti, i loro familiari, gli allievi, i prestatori, i critici e altre figure professionali, nonché i rappresentanti dell’amministrazione locale. Tutto è stato fatto per amore dell’arte e senza alcuna pretesa economica, a dimostrazione del fatto che ancora esiste una collettività, che, se stimolata, risponde con entusiasmo. È nato così “Artisti di Brozzi, allievi e maestri”, progetto che si riassume in questo catalogo volto a raccontare, anche alle generazioni che verranno, la storia di pittori e scultori di ieri e di oggi; storia che affonda le proprie radici e le proprie ragioni d’essere in questo borgo che, più o meno direttamente, ha contribuito a formare dal punto di vista umano e artistico noi che vi siamo nati e cresciuti. Naturalmente, né la mostra né il catalogo hanno la pretesa di essere esaustivi; offrono uno spaccato e presentano alcuni nomi seguendo la logica dei legami e degli intrecci che fanno emergere una marcata connotazione transgenerazionale che ha una sua giustificazione rispetto al territorio e alla comunità in cui si sono formati maestri, artisti e allievi. Allievi che ormai si sono affrancati dalla guida di quelli che furono i loro maestri, divenendo a loro volta artisti. La lezione che indirettamente possiamo trarne è che l’indebolimento e il disgregarsi di tali legami rappresenta oggi una limitazione che danneggia proprio chi si dedica all’arte. Le collaborazioni, gli scambi, la familiarità e la figliolanza “della bottega” sono un valore aggiunto fondamentale contro una legge di mercato che vorrebbe gli artisti soli e avulsi da una collettività che, al contrario, non può che dare sostegno e sostanza al lavoro di ognuno di loro.

Artisti in mostra:

Luana Beconi; Alessandro Bolognesi; Andrea Boni; Antonio Cocchi; Elena Giachi; Luciano Bolognesi; Fabrizio Gori; Romano Lucacchini; Riccardo Lupi; Bruno Pecchioli; Pietro Annigoni; Andrea Sole Costa; Nazareno Malinconi;

Introduce:

Ugo Barlozzetti

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